In un periodo delicato come quello che ha caratterizzato l’Italia e il resto del mondo nell’ultimo anno, parlare di turnaround industriali è di particolare interesse. Tre esperti del settore, Cecilia Varzi, Sergio Iasi e Francesco Leone, si sono incontrati in una videoconferenza organizzata da Nova, giovedì 24 giugno, per confrontarsi sull’argomento. Ecco cosa ne è emerso:
Se la pandemia è stata caratterizzata da aziende ferme e poche ristrutturazioni, il periodo post-Covid sarà invece contraddistinto da un’importante ondata di restructuring e dalla ripresa di un mercato che era stato lasciato temporaneamente in stand-by. Non tutto però sarà ristrutturabile: alcune situazioni si portano dietro delle deficienze così forti che potrebbero far fatica a seguire un percorso di rinnovo soddisfacente.
Qual è, dunque, la componente di un restructuring su cui concentrarsi maggiormente? La strategia è importante, ma la prima cosa da mettere in sicurezza per avere un turnaround di successo è la capital structure dell’azienda; solo in un momento successivo ci si potrà poi focalizzare sul team e la sua inclusione. Il “capitale umano” gioca comunque una parte fondamentale in un turnaround: è importante riuscire ad attrarre persone che abbiano conoscenza del settore, fondamenti tecnici e competenze manageriali; gente motivata, orientata al risultato, con voglia di fare cose nuove e con propensione al rischio – poiché la capacità di prendere decisioni è totalmente diversa rispetto ad una situazione normale. Chi guida un restructuring deve avere un blueprint in testa chiaro, di poche priorità, e deve seguirlo con veemenza e senza compromessi: nel restructuring, il tempo è fondamentale. Importante è anche avere un’attenzione spasmodica alla cassa. Un grande esempio di questo è stato Marchionne durante il turnaround della Fiat: grande storia di un restructuring di successo, Marchionne ha, per prima cosa, guardato i numeri; poi, dopo un ragionamento strutturato e complesso, ha definito una chiara strategia di crescita – tenendo in mente che in un turnaround non si deve solo tagliare, ridurre e controllare, ma anche allocare in maniera efficace le risorse. Marchionne ha costruito una team molto forte ed è stato un CEO decisionista capace di interfacciarsi prontamente con tutti gli stakeholders, affrontando ogni problema con la giusta lungimiranza temporale.
Tuttavia, soprattutto nelle piccole aziende, solitamente gli imprenditori fanno difficoltà ad accettare un manager esterno poiché essi sentono l’azienda come “propria”; non c’è volontà di mettersi insieme per creare una crescita di scala che permetterebbe di essere più forti anche a livello internazionale. Spesso, ci vogliono periodi di crisi per obbligarli a quest’apertura. In Italia inoltre c’è ancora uno stigma nei confronti dei mezzi legali con cui si inizia un turnaround, dovuto principalmente dall’arretratezza della legge fallimentare. Il sistema si è però evoluto: ad esempio, l’art. 67 offre protezione alle nuove risorse che entrano in azienda – senza dare quell’accezione di fallimento che spaventa. Negli Stati Uniti invece è diverso: il fallimento è accettato e riconosciuto come parte di un processo che può portare eventualmente al successo. In Italia, al tempo, chi falliva perdeva i diritti civili; se questo adesso è cambiato, resta comunque una concezione del fallimento che è rimasta immutata nell’immaginario degli italiani. Rispetto ad un Chapter 11 che ha come obiettivo di salvare l’azienda, l’Italia ha un sistema focalizzato sul credito: l’importante è che si paghino al meglio e al più presto i creditori.
Anche l’Italia, come Stato, può essere considerata una grande opportunità di restructuring. A questo proposito, il piano Draghi ha un grande pregio: identifica poche linee di azione, chiare e semplici, e non costruisce un contesto troppo complesso o fantasioso; come si sa, le strategie troppo articolate alla fine non funzionano mai. L’attuale governo Draghi porta un bagaglio di competenza, massa critica di capitali da investire e una coesione nazionale che sono fondamentali per il cambiamento sistemico. Dobbiamo quindi crederci: credere nell’Italia, credere in Draghi e credere in un turnaround di successo anche per noi che abbiamo la possibilità di vedere il nostro Bel Paese risorgere dopo uno dei suoi periodi più bui.
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